Legati ma liberi

Walter Maino

La mia soddisfazione più grande è salire “Vie Classiche” su pareti lunghe, se poi sono su cime famose delle Dolomiti, tanto meglio!
Cosi quest’estate Alberto ed io, buon compagno di cordata, decidemmo di salire tre vie classiche su altrettante cime famose, tutte e tre sopra i tremila metri.
Partiamo la mattina presto e il tempo promette bene. La via scelta per oggi sarà la “Via Andrich” al Cimon della Pala nel Gruppo delle Pale di San Martino.
Arrivati al Passo Rolle, il nostro sguardo spazia lungo tutto il Gruppo e si sofferma per alcuni attimi sul Cimon della Pala 3185 metri, sicuramente la cima più famosa e fotografata del Gruppo. La nostra via percorrerà la parete sud, quella più ripida e strapiombante del Cimon. Il sentiero che ci porta al attacco si rivelerà lungo e faticoso, su roccia friabile e sporca di terra, con passaggi di 2° grado. Arrivati al attacco, sopra un immenso conoide di detriti, saliamo i primi 200 metri in comune con la “Via Leuchs” su belle placche di 4° grado verso una cengia sotto un muro verticale di rocce nere, proseguiamo per quatto tiri di corda su roccia solida con chiodatura inesistente. Ora è la volta dei due tiri “chiave”. Uno sguardo alla fessura fina e strapiombante, chiusa in alto da un tetto, e poi... avanti. La partenza si fa subito impegnativa, 6° superiore su roccia buona e ben chiodata ma bagnata. Il tiro successivo aggira il tetto a sinistra, tutto su roccia gialla, umida e un po marcia, per ritornare verso destra, sopra di esso, alla base del diedro.
Ora sono in sosta e sto aspettando che Alberto salga, mi guardo intorno e mi accorgo che ci troviamo quasi avvolti dalla nebbia. Mancano ancora sei lunghezze di corda per uscire, sperando che il tempo non si guasti ulteriormente proseguiamo.  i aspetta un arrampicata su roccia difficile e bagnata con tratti friabili e chiodatura scarsa e per giunta la nebbia ci complica l’orientamento. Passo dopo passo, tiro dopo tiro finalmente usciamo dalla via. Una stretta di mano, raccogliamo il nostro materiale e poi... via, non c’è tempo da perdere. Il rientro, a causa della nebbia, si fa più complicato della via stessa, sbagliamo percorso diverse volte portandoci fuori, tra rocce molto marce, con ritorni sui nostri passi complicati e snervanti, perdendo parecchio tempo. Raggiunta finalmente la cima prendiamo la traccia appena visibile della “Via Normale” e poi lungo la Ferrata “Bolver Lugli” che ci porta alla base della parete. Anche il sentiero che porta al parcheggio è avvolto dalla nebbia e fa sembrare il paesaggio un po’ mistico.
È stata una bella avventura, la via è interessante, non troppo chiodata ma ben proteggibile. Resta comunque poco frequentata per via del lungo avvicinamento e il rientro su rocce instabili e franose.

La settimana successiva partiamo per la “Parete delle Pareti”, cosi chiamata nella storia dell’Alpinismo Dolomitico, la Nord-Ovest del Civetta 3220 metri, una muraglia alta 1000 metri fiancheggiata da numerose torri altrettanto famose. Dalle tante e famose Vie che offre questa muraglia scegliamo una via aperta dallo stesso Alpinista della volta precedente, cioè la via “Andrich Fae”, una delle classiche più conosciuta della parete.
Questa volta partiamo il sabato, pernottando al Rifugio Tissi sul Col Rean, difronte alla parete Nord-Ovest del Civetta. L’ accogliente Rifugio
è gestito da Walter Ballanzier, una persona eccellente e simpatica che sa dare qualunque informazione sulle Vie che percorrono la “Grande Parete”.
Il panorama che si può ammirare dal Rifugio Tissi è certamente uno tra i più belli delle Dolomiti e lo sguardo spazia a 360° dal Gruppo della Civetta alla Marmolada fino al Gruppo delle Tofane.
La mattina seguente si parte presto, dato che la via è molto lunga. Con noi ci sono altri due ragazzi della zona e lungo il sentiero che porta all’attacco delle Vie si scorgono in lontananza le luci di diversi frontalini che illuminano la notte. Mentre attraversiamo un tunnel di ghiaccio e neve, il giorno ci raggiunge e arriviamo alla base dello zoccolo lungo 200 metri con difficoltà di 2° e 3° grado. La cordata che ci precede sbaglia l’attacco, naturalmente noi li seguiamo come dei polli e cosi dobbiamo affrontare due tiri di corda con difficoltà di 4° grado superiore, lungo un canale molto friabile e bagnato fuori programma. Ci ricolleghiamo di nuovo alla traccia giusta che in breve tempo ci porta al chiodo di partenza. Da qui partono due Vie: la “Aste-Susatti” a destra, già occupata da una cordata impegnata al primo tiro e, a sinistra, finalmente la nostra via scelta per quest’oggi: la “Andrich-Fae”.
Alzo lo sguardo per individuare la via e la logica mi sembra molto evidente, un susseguirsi di placche fessurate che si spostano leggermente verso sinistra su roccia saldissima che passa dal nero al grigio con tratti che riflettono sfumature blu-argento.
Dopo numerosi tiri di 6° grado su questa stupenda dolomia ci portiamo sotto un tiro molto impegnativo per la difficoltà ma sopratutto per la roccia bagnata e muschiata con alcuni chiodi consumati dalla ruggine e dal tempo. Superato questo tiro attacchiamo i camini finali con roccia buona ma non banale.
Usciti dalla via ci attende un cielo sereno con un sole splendente. Siamo pure in anticipo sulla tabella di marcia, ci congratuliamo con l’altra cordata e con una stretta di mano li salutiamo. Decidiamo di fermarci un po per poter ammirare questo panorama indescrivibile che spazia dal Gruppo delle Pale di San Martino al Gruppo del Sella e la Marmolada, e poi avanti dal Monte Cristallo all’Antelao e il Monte Pelmo, in lontananza si intravedono le Tre Cime di Lavaredo. Dopo una bella sosta ci dispiace dover proseguire per la discesa. Scendiamo dalla “Ferrata degli Alleghesi”, che ci porta in poco tempo sul sentiero “Tivan” e al Rifugio Coldai. Proseguiamo di buon passo e in un altra oretta arriviamo al parcheggio. Un ultimo sguardo sulla parete color rosso, illuminata da un tramonto meraviglioso.
È la via con la miglior roccia che ho fatto su questo Gruppo, e penso una delle salite migliori che ho percorso in Dolomiti. Chiodata bene con difficoltà che si mantengono costantemente tra il 5° e il 6° superiore.

Continuiamo la nostra avventura spostandoci la settimana successiva in Val di Funes, una delle Valli più belle dell’ Alto Adige, con masi e pascoli punteggiate da abeti e cirmoli e a sud contornata dalle stupende Pareti Nord delle numerose guglie ad aghi delle Odle. Al centro di queste si innalza la parete più alta del Gruppo: la “Furchetta”, 3030 metri. Su questa parete alta 750 metri ci sono stati diversi tentativi di salita, come quella di Hans Dülfer, che si arrese ad un terrazzino che da allora prende il nome di “Pulpito Dülfer”. Poi venne la volta della cordata “Solleder-Wiessner” che con eccezionale intuizione riusci nell’impresa, all’epoca, come una delle prime Vie di Sesto Grado nelle Dolomiti. Anche questa volta decidiamo di avvicinarci il sabato, passando la notte in macchina con tanto di materasso e coperta, nel parcheggio di Malga Zannes. La mattina seguente partiamo con frontalini accesi su strada sterrata e poi su sentiero fino alla base del lungo e ripido ghiaione che saliamo con numerose soste. Giunge il giorno e il tempo promette bene per quest’oggi. Arrivati all’attacco dello Spigolo ci soffermiamo un attimo a guardarci intorno.
Lungo la prima metà della via, la roccia è buona e le difficoltà massime si aggirano intorno al 4° grado. Arrivati su una cengia detritica i nostri sguardi incontrano il “Pulpito Dülfer”, appena un po sopra di noi. Attraversiamo a destra per circa 20 metri, portandoci nella zona gialla e strapiombante della parete. La linea della salita non è tanto evidente. Ci alziamo su rocce rotte facendo molta attenzione a quello che tocchiamo. Man mano che saliamo aumenta la difficoltà e peggiora la roccia. Restiamo un po’ perplessi tutti e due, dato che la relazione segnava questo spigolo come “via Classica su roccia generalmente buona”. Ad una delle soste Alberto commenta: “El Holzer (Alpinista Spazzacamino di Merano) l’ha fat en solitaria, el gaeva propri en bel coraggio a trarse su per ‘sta roba da sol.”
Continuiamo a salire restando leggeri come piume, toccando la roccia con delicatezza e arriviamo alla sosta del tiro “Chiave”: Una placca di roccia gialla sovrastato da un tetto nero gocciolante. Sulla placca si intravedono alcuni chiodi e sotto il tetto ci sono dei vecchi cordini.
Ma quello che si nota di più è la scarsa qualità della roccia. Se ci trovassimo ai primi tiri credo che saremmo tornati indietro, ma siamo già 700 metri sopra il ghiaione.
Un bel respiro e parto. Salgo tre metri sopra la sosta dove si trovano due chiodi appaiati in un buco, traverso a destra su fragili scaglie che sembrano muoversi ancora prima di toccarli. Ora tocca la fessura bagnata. I cunei di legno marcio che intravedo non mi danno fiducia e piazzo qualche friend per assicurarmi, così arrivo fin sotto il tetto. Ci sono dei cordini vecchi pieni di muschio, attorno ad un sasso incastrato. Non so se sono più sicuri i cordini o il sasso. Arrivato al punto dove la fessura diventa un camino molto stretto, cerco di arrancarmi in qualche modo, mi incastro con le scarpe che ho attaccate all’imbrago, ma riesco in qualche modo ad aggrapparmi ad un bel masso incastrato e salirci sopra. Al mio fianco vedo due chiodi di sosta... è fatta! Recupero Alberto che nell’attesa si è ghiacciato. Poi tocca a lui proseguire lungo il camino che porta verso l’uscita della via.
Stanchi e infreddoliti arriviamo in cima, una bella stretta di mano per congratularci. Il cielo è sereno e anche questa volta la fatica ci viene ripagata con il magnifico panorama delle Dolomiti. Non c è tempo di fermarci per ammirare più a lungo questo spettacolo, dobbiamo proseguire. Ci aspetta un rientro molto lungo, scendendo dalla via “Normale della Furchetta, aggirando il Sass Rigais per poi salire il canalone che porta alla Forcella de Mesdì e giù per il ghiaione che riporta in Val di Funes.
Il mio giudizio personale per questa “Classica d’altri tempi” è sicuramente un arrampicata molto avventurosa con roccia a tratti poco sicura. La via resta poco frequentata proprio per via della roccia.

“Tei Alberto, che’n disit, el sta na bela avventura ‘ste vie vece?” “Eh sì Walter, diria propri de sì. E pensa che a quei tempi i se treva su per sti paretoni con l’attrezzatura che i gaveva... ghè propri da levarghe el capel!” “Te podi propri dirlo! Beh, Alberto, preparete, go za en ment altre vie per el prossim an, semper de Alpinisti de ‘sti ani.”
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